Certo è un caso, ma nei tre eventi della giornata di ieri c’è un minimo comune denominatore facile da vedere anche per i più sprovveduti. È una sorta di “forza delle cose” che improvvisamente, dopo un lunghissimo impaludamento, sospinge la vita pubblica fuori, all’aperto, avanti, facendo svanire le illusioni e le manovre di un’area non piccola del ceto politico che sognava di riportarla al tran tran della Prima Repubblica.
Il referendum è senza dubbio il dato di accelerazione più evidente. Dopo il sì della Consulta al quesito, addio bozze Chiti, Bianco o Veltroni. L’unica modo di evitare il ricorso alle urne sarà quello di fare una riforma che recepisca il senso dei quesiti, e quindi l’unica direzione in cui ci si
potrà muovere sarà il rafforzamento e il perfezionamento del bipolarismo. Alleanza nazionale non può che esserne soddisfatta: è il partito che con più forza e convinzione ha sostenuto la raccolta di firme, resistendo con tenacia a ogni tentativo di riabilitare il proporzionale e alle lusinghe neocentriste che si sono moltiplicate negli ultimi mesi. E ora che lo schema è chiaro, anche le relazioni con gli alleati diventano più trasparenti: l’incontro di ieri tra Fini e Berlusconi segna anch’esso la fine di una stagione (e forse dell’illusione del Cavaliere di cercare scorciatoie per tornare al governo).
Nella stessa giornata il terremoto Mastella scuote una delle roccheforti del neocentrismo, il fortino beneventano dell’Udeur, provocando le dimissioni (a tempo?) di uno dei ministri-chiave per gli
equilibri di potere del centrosinistra a livello nazionale e in Campania. Al di là della solidarietà personale e umana per lo spropositato provvedimento dei domiciliari alla signora Lonardo, il profilo delle indagini è ben diverso dai veleni dell’inchiesta De Magistris e accende i riflettori su un sistema di potere pervasivo e clientelare, autentica enclave della vecchia Repubblica sopravvissuta alle bufere giudiziarie del ’92. Questa enclave e il suo indiscusso leader rappresentano a livello nazionale gli alfieri, forse gli ultimi, di una cultura consociativa che immaginava di governare il conflitto politico come una holding: distribuendo quote e allargando i Cda. Con questa logica di
compromesso ha immaginato di gestire la partita della riforma della magistratura italiana e dell’oggettivo debordare del suo potere, salvo scottarsi le mani e forse qualcosa di più.
È la fine di un’illusione. Mica tanto scontata: fino a ieri le suggestioni neo-democristiane erano parte importante della partita politica italiana e del dibattito sul futuro delle istituzioni, dei sermoni
sulla “rozzezza” del bipolarismo, sulla “ingovernabilità” legata alla formula di una trasparente alternanza. Fino al punto da immaginare che il nuovo passasse per la Grosse Koalition e per l’archiviazione dei sistemi di alleanze definite.
Viva il 16 gennaio, allora, giornata della chiarezza, con la forza dei fatti che impone a tutti di interrompere la recita e di assumersi le rispettive responsabilità. Fra i miraggi svaniti in questa data c’è anche quello – su cui si è imperniata larga parte della proposta dell’Unione – di una sinistra portatrice di modernità e avanzamento sociale, di nuovi diritti e di nuove libertà. Dopo aver letto il discorso (diffuso ieri per iscritto) che il Papa avrebbe dovuto fare alla Sapienza, non c’è cattolico, ateo, buddista o musulmano che non abbia il diritto di indignarsi: l’ignavia del governo ha riportato il Paese a Porta Pia non per fermare il comizio di un Savonarola, non per affermare il primato dello Stato o i diritti della libera ricerca, ma per timore di un ragionamento sofisticato e mite su scienza e fede. E anche qui il 16 gennaio segna un punto di non ritorno, un’accelerazione positiva e benvenuta su uno dei temi cruciali del dibattito pubblico italiano, che aiuta l’intero Paese a ridefinire il concetto di laicità come cosa ben diversa dagli ambigui modelli espressi dall’Unione: l’oscurantismo antipapista stile Hack, le crisi di coscienza binettiane, il “ma-anchismo” veltroniano.Ormai è chiaro: il cambiamento passa attraverso la discontinuità con tutto ciò che l’attuale maggioranza di governo rappresenta. E da oggi è possibile.
Flavia Perina
Da: Il Secolo d’Italia del 17/01/08
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