Intervista a "La Stampa" del leader di AN
di Ugo Magri
Del suo incontro con Veltroni molto si favoleggia. Può dire, Presidente Fini, la sintesi qual è?
«Veltroni ha capito benissimo cosa vogliamo noi, e noi abbiamo inteso perfettamente cosa vuole lui. Siamo pronti a dialogare sulle riforme, avendo però ben chiaro che ciò non può significare in alcun modo disponibilità di An a tenere in vita artificiosamente il governo Prodi».
E Veltroni?
«Ha una posizione speculare: anche se il dialogo dovesse culminare in un'intesa, per lui non si dovrebbe comunque tornare a votare... Due posizioni chiare e nette. Tra noi e lui non c'è alcun rischio di inciucio».
Tremonti ha obiettato: come si fa a dialogare la mattina e poi a combattersi il pomeriggio?
«Non può esserci do ut des, una compensazione tra governo e riforme. Però la netta separazione di ruoli non significa che non ci si possa confrontare. Perché perdere l'occasione, se dovesse presentarsi, di approvare quelle riforme che anche noi avevamo proposto e varato sul finire della scorsa legislatura e che la sinistra ha bocciato con il referendum?».
Se l'accordo sulla legge elettorale non venisse trovato, il dialogo si bloccherebbe?
«Assolutamente no. In base a che logica si può essere contrari a una riduzione del numero dei parlamentari? O a rafforzare i poteri del premier? O a sancire la fine del bicameralismo perfetto? Oltretutto, la necessità di confrontarsi viene rafforzata dalla constatazione che non si può pensare di discutere un modello elettorale ignorando il contesto politico e istituzionale in cui agisce la legge elettorale».
A certe condizioni lei potrebbe accettare un meccanismo proporzionale?
«Non ho nulla di pregiudiziale contro una legge proporzionale, già quella vigente che noi votammo è proporzionale. Però attenzione: una legge proporzionale può salvare il bipolarismo o archiviarlo. A me va bene solo se le alleanze si dichiarano prima delle elezioni, non se si fanno o si disfano dopo, nel Parlamento. E va bene se queste alleanze si dichiarano in calce a un programma».
Non è quanto avevate concordato lei, Berlusconi e Bossi nel famoso patto di Gemonio?
«Appunto. Lì si era detto: ognuno si presenti con la propria lista e la propria identità, ma con un vincolo di coalizione e un programma comune. Così si salvaguarda la logica bipolare. Tra l'altro, è già così per Comune, Provincia e Regione. Perché dovrebbe essere diverso per il Parlamento?».
Il «Vassallum» proposto da Veltroni vi va bene?
«Per niente. E' inaccettabile non solo perché smonta il bipolarismo, ma anche perché è tutto congegnato in modo da rafforzare i due partiti maggiori. Cioè su misura per Veltroni e Berlusconi».
I due si scambiano segnali...
«Se Forza Italia intende affondare il bipolarismo, non dovrò essere io ma sarà dovere di Berlusconi spiegare al popolo del centrodestra perché sceglie la logica delle mani libere. Archiviando il suo vero capolavoro politico, che è il bipolarismo, Berlusconi non si rende conto di archiviare se stesso».
Lui dice basta alleanze, d'ora in poi vuole assorbire tutti nel suo nuovo grande partito...
«Se spera di fare il pieno nel centrodestra, si illude. Per quanto appeal possa avere questo Pdl, è un fuor d'opera pensare che raggiunga da solo la maggioranza».
Come spiega all'elettore moderato che cosa è successo tra voi?
«E' accaduto che fino al voto sulla Finanziaria avevamo dato carta bianca a Berlusconi in quanto lui aveva sempre garantito: il governo cadrà. Purtroppo, non è caduto. Così dal giorno dopo An si è presa pubblicamente la responsabilità di chiedere un cambio di strategia, anche per mettere a nudo l'esistenza di una maggioranza solo numerica e non politica. Lui ha risposto con un colpo di grande efficacia mediatica dicendo: ecco il nuovo partito, chi vuole entrare entri».
E voi perché non entrate?
«Per un anno intero mi sono sgolato chiedendo di andare verso il partito unitario, figuriamoci se posso contestare l'idea di un forte bipolarismo. Ma non posso accettare che un nuovo soggetto politico nasca come un coniglio dal cappello, una sera a piazza San Babila, senza conoscere nulla del nuovo partito (valori, programmi, regole) se non il nome, e per giunta appreso dalla Tv... Più che dei colpi di teatro, c'è bisogno di una seria discussione all'insegna dell'umiltà, sulle cose buone fatte al governo e sugli errori che tutti abbiamo commesso. Sulle ragioni della sconfitta elettorale e su un programma che tenga conto di tutto quanto (ed è tanto) è successo nel frattempo».
Coglie da parte del Cavaliere segnali di autocritica?
«Autocritica è parola che Berlusconi non conosce. Comunque è positivo che riconosca oggi quanto fino all'altro giorno nemmeno voleva sentire, vale a dire mettiamoci tutti in discussione, facciamo le primarie, determiniamo un meccanismo di scelta dal basso».
La vostra gente domanda se tornerete insieme...
«Il popolo del centrodestra vuole unità. Ma solo il tempo potrà dare una risposta. Perché molto dipende da ciò che farà Berlusconi. Se pensa di intimidire qualcuno, se la sua logica è quella del "dove vanno senza di noi?", se arriva a dire a me e a Casini "voi tenetevi il progetto, io mi tengo i voti", allora i primi che non capiranno il Cavaliere saranno proprio gli elettori».
Berlusconi è ancora il Leader del centrodestra?
«Nel momento in cui dice in modo autolesionistico "la Cdl non c'è più, era diventata un ectoplasma", in quel momento non si pone più il problema di chi è il leader della Cdl. Certamente oggi Berlusconi è il leader del suo partito. Punto e basta».
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