Ecce iterum Crispinus
Ma come ha fatto a sopravvivere a se stesso sino ad oggi uno così...? Per amore o per odio? Uno che parla ancora di padroni, evidentemente perché ne ha dovuti servire tanti, uno che si occupa dei problemi degli altri prima e invece di pensare ai propri, uno che usa la sua “intelligenza” per inventare soprannomi, uno che dimostra la sua pochezza intellettuale essendo rimasto ai “pensierini”, uno che è decisamente “chiacchierato” da sessanta anni, uno che non riesce a distinguere tra critica politica e critica personale, uno che farebbe bene ad andare veramente in collina … per restarci vista la sua inutilità, uno che per costituzione mentale non può che guardare verso valle visto che non gli è possibile guardare verso l’alto. Comunque suggerisco al querulo turpiloquente presidente di leggere queste poche righe, sempre che le capisca.Nelle pagine più convincenti del suo libretto sull'invidia Joseph Epstein analizza non a caso il racconto di Melville che vede per protagonista il giovane marinaio Billy Budd, uno dei personaggi più memorabili dell'intera letteratura mondiale. L'invidia, sostenevano i Padri della Chiesa, è connessa alla maldicenza e all'avidità, e discende dalla superbia che è il primo dei sette peccati capitali. Invidia da «in-videre», guardare male, di malocchio: l'invidioso è uno che non vede bene. Nella dottrina cristiana, ci ricordano due studiose del medioevo, Carla Casagrande e Silvia Vecchio, l'invidioso sperimenta il peccato senza piacere: il suo è un tarlo interiore che lo rode, una ruggine interna, una putrefazione del pensiero. Prima di Lacan, i Padri avevano capito che l'invidia produce un rovesciamento: provare dolore per il piacere degli altri. San Tommaso scrive che l'invidioso vede nel bene degli altri un male per se stesso, mentre già Aristotele ribadiva che non si invidiano i lontani, bensì i vicini: l'invidia come sentimento che serpeggia nella famiglia, tra gli amici, nelle comunità ristrette. Medita, se puoi!
Elio Bitritto
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