giovedì 12 febbraio 2009

LE FOIBE E L'ESODO. LE TRAGEDIE CHE HANNO CONTINUATO A FERIRE L'ITALIA DOPO LA LORO FINE

L'argomento del mese di febbraio non può che essere quello delle foibe e della più complessa vicenda del confine orientale che cominciò nel 1943, circa. Il generale jugoslavo aveva ordinato ai 'suoi' che quel popolo dello stivale e precisamente la parte che si trovava in Venezia Giulia ed in Dalmazia, doveva essere sterminato. I motivi? Quelli politici furono in un certo senso solo un pretesto. In effetti erano puramente etnici. Le cause, naturalmente, sono quelle che un po' tutti conosciamo e che anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha spiegato "....già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell'autunno del 1943, si intrecciarono 'giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento' della presenza italiana da quella che era, e cessò Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una 'pulizia etnica'." Quello che accadde dal 1945 in poi, però, è in stato tenuto nascosto per tanti anni, sia dai libri di scuola, sia dai media in generale, perché non faceva comodo a parte della sinistra italiana, evidentemente in quanto la questione foibe ed esodo la riguardava da vicino; o meglio, riguardava gli avi dei loro movimenti politici, i partigiani italiani, troppo spesso immischiati nelle vicende di sangue che riguardarono il confine orientale. Ma cosa successe in particolare? Cosa sono le foibe? Perché l'esodo? Il generale Tito, dunque, aveva dato mandato di sterminare quel popolo, gli Italiani, e così i partigiani jugoslavi fecero. Dopo aver seviziato le donne e torturato gli uomini con metodi a dir poco barbari, spesso complici i partigiani italiani, li gettavano, quasi sempre legati con filo spinato, nelle foibe, che in realtà sono delle cavità carsiche naturali, profonde a volte anche 200 metri. Dunque dei veri e propri massacri che coinvolsero migliaia di italiani, 'rei' solamente di essere tali. Donne seviziate, accoltellate ai seni, torturate e poi gettate mezze vive dentro queste profonde 'fosse comuni'; gli uomini fucilati e gettati giù. Circa 10mila gli Italiani uccisi, non solo infoibandoli, ma anche mediante le deportazioni nei campi di concentramento jugoslavi comunisti. Poi l'esodo. Migliaia e migliaia di persone costrette a fuggire ed emigrare nel sud Italia, per non essere sterminate e per conservare l'identità italiana. Una tragedia, dunque, sia considerando le migliaia di persone uccise, sia considerando quelle che hanno dovuto lasciare la propria terra, la propria casa, gli affetti e quant'altro lega alla terra natìa. Uomini, donne e bambini costretti ad imbarcarsi ed a partire senza una meta precisa e con la possibilità di non rivedere ma più la zona, la regione in cui si è cresciuti. Ma la tragedia non è certamente conclusa. In realtà è finita nel 2004. Sì, perché dimenticare per anni una tragedia che ha interessato la propria terra,oscurandola ovunque e soprattutto sui testi scolastici sui quali i ragazzi e le ragazze potrebbero formarsi una coscienza critica, in un certo senso significa perpetrare nell'errore. Solo nel 2004, una legge approvata dal Parlamento italiano, ha istituito il 10 febbraio quale 'giorno del ricordo'. Ricordiamo tutti, una vicenda che ha colpito l'Italia e i nostri antenati. Ricordare significa rispettare chi per quelle vicende ha sofferto e continua a soffrire. Una ferita, quella che gli esuli hanno, che difficilmente si rimargina, anzi, è impossibile. Le immagini dei propri parenti ‘tirati fuori’ da quelle gole senza fondo; i corpi martoriati, straziati, quasi irriconoscibili, difficilmente si riescono a cancellare dalla memoria. C’è chi ancora piange, chi è rimasto scioccato da questa tragedia, proprio perché colpito in primis, come colpito è stato il Popolo italiano. Ricordare è doveroso ed anche utile per non ripetere gli errori della storia.

Marco di Michele Marisi

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